LA LETTERATURA IN PROVENZA
I "Troubadours" del XII° sec. si esprimono in lingua doc . Poeti come Jaufré Rudel e Bernard de Ventadour traggono motivo di ispirazione dallamore cortese. La poesia è la loro forma espressiva.
Dalla Provenza questa letteratura passa in Italia, dove viene rigenerata da Dante. Nel XV° sec. Petrarca la riporta in Provenza ( ricordiamo le "chiare, fresche e dolci acque" della fontana di Vaucluse) sotto forma di sonetto. Nel 1539 lEditto di Villers-Cotteret impone , nella pratica amministrativa, luso del francese ( cioè il dialetto dellÎle-de-France che si parlava a Parigi ) in Provenza.
Inizia la decadenza della lingua doc.
Si dovrà attendere il 1854 per ritrovare interesse verso di essa. Ciò accade quando sette poeti, di cui il più famoso è Frédéric Mistral, gettano le basi di unassociazione che si propone di restaurare la lingua provenzale e di sistemarne lortografia: è il Félibrige. Proprio Mistral pubblicherà opere che fanno rivivere il passato storico del suo paese e ne riprendono gli antichi costumi e le tradizioni religiose.
A questo scopo, nel 1896, egli crea ad Arles il "Museon Arlaten" che ancora oggi è possibile visitare per vedere la ricostruzione di ambienti, per conoscere i costumi, i mobili, i mestieri, la musica , le tradizioni tipicamente provenzali.
LA PROVENZA - I LUOGHI DELLA POESIA
La Provenza ha uno speciale effetto sui grandi ingegni letterari: il benessere offerto dalla regio ne ed il giusto raccoglimento per mettersi allo scrittoio ha offerto ai letterati un'alternativa alla più impegnativa Italia.
In Provenza " mistral " è un "apriti Sesamo". Questo è il nome del massimo poeta locale: Frédéric Mistral, appunto. Così, inoltre, venne battezzato un treno di lusso che da Parigi si dirigeva a Marsiglia, fino a Nizza. Ma mistral è soprattutto vento: raffiche dal nord-ovest che inaridiscono gli stagni ma attizzano il fuoco letterario.
Da Petrarca a Mistral, da Madame de Sévigné a Daudet, da Pagnol a Gide, la Provenza ha fatto sognare per secoli poeti e scrittori sedotti dalla sua bellezza ricca di sorprendenti contrasti.
Sei secoli e mezzo fa, Francesco Petrarca descrisse al padre, nella più celebre delle Lettere familiari, la sua ascensione al massiccio del Mont Ventoux, "un luogo celebre per la sua altezza, non a torto chiamato Ventoso". Il poeta si era trasferito in Provenza con tutta la famiglia quando era bambino, e gran parte della sua esistenza ebbe luogo, a intervalli, nella zona di Avignone. La "città dei Papi" sarebbe stata teatro dei suoi studi, del suo ingresso negli ordini ecclesiastici minori, dell'amore non contraccambiato per Laura, dell'incontro con Cola di Rienzo.
Dalla sommità del Ventoux il colpo d'occhio toglieva il respiro: bastava che il poeta volgesse lo sguardo per riconoscere i monti della provincia di Lione, il Rodano ("Rapido fiume, che d'alpestra vena / rodendo intorno, onde il tuo nome prendi..."), il mare di Marsiglia, le Acque Morte e, più oltre, le Alpi 'gelate e nevose" che per lui significavano Italia, "dove più tende l'animo mio". Lassù, lo spettacolo così forte da ricordargli i sacri Olimpo e Athos gli aprì l'animo. L'esperienza fu così forte che dopo, durante la discesa, non rivolse più parola a chi lo accompagnava.
Fu un episodio isolato. Per le sue meditazioni Petrarca preferiva le limpide sorgenti della Sorgue, a Fontaine-de-Vaucluse, da lui frequentate per sedici anni. ' Mi rivedrai sovr'un ruscel corrente / ove l'aura si sente / d'un fresco et odorifero laureto", scriveva utilizzando giochi di parole che ricordassero il nome dell'amata. Agli occhi del Petrarca, la presenza della donna si rispecchiava nelle forme della natura, tra erbe, fiori e rami che incorniciavano la sorgente. "Chiare fresche e dolci acque / ove le belle membra / pose colei che sola a me par donna": i più famosi versi del Canzoniere scaturivano da quelle lunghe passeggiate. E fu la natura della Vaucluse ad accogliere pietosamente l"'infinita doglia`' del poeta quando Laura morì: "Valle che de' lamenti miei se' piena, / fiume, che spesso del mio pianger cresci...'.
Petrarca aveva visto Laura per la prima volta nella Chiesa di Santa Chiara di Avignone, il 6 aprile 1327. Ne aveva appena incrociato lo sguardo, ma ciò era bastato a turbargli profondamente il cuore e a metter le ali alla poesia del Trecento.
Nel Seicento Madame de Sévigné scrisse le sue Lettres, uno dei più alti lasciti della prosa francese, a sua figlia Marguerite-Françoise, la quale si era trasferita in Provenza dopo le nozze . La madre la raggiunse definitivamente in tarda età e Iì rimase fino alla morte, che la colse nel 1696.
Nel suo epistolario Madame de Sévigné scrive ad esempio come le apparve Marsiglia: "Avventurieri, spade, cappelli piumati, gente fatta per dare idee di guerra, di romanzo, d'imbarco, d'avventure, di catene, di schiavi, di prigionia. A me che amo i romanzi, tutto questo piace alla follia, e ne sono estasiata". E il ponte d'Avignone, "sul quale è imprudente passare pur prendendo da lontano tutte le precauzioni, quasi un turbine di vento volesse gettarvi sotto un'arcata". A Grignan, in un castello circondato da un parco che guarda l'immenso cono del Monte Ventoux, si godeva l'affetto dei familiari e le dorate ore dell'alta società, senza rimpianti per aver lasciato il Nord ("Ancora lo farei, se lo dovessi fare", scrisse nel 1691 a un amico).
Soltanto due secoli dopo la parola "mistral" prende la maiuscola, regalando alla Provenza il suo Vate. Il mondo moderno ascoltò allora una lingua dolce e musicale, che pareva essersi perduta insieme con le antiche gesta dei trovatori: 'Pèr iéu, sus la mar de l'istòri, I Fuguèrestu, Prouvènco, un pur simbèu. .. Per me, sul mare della Storia, / tu hai raffigurato, Provenza, un puro simbolo, / un miraggio di gloria e di vittoria / che, nell'imbrunire dei secoli fuggenti, / ci fa intravedere un bagliore di Bellezza". Il provenzale usciva dai confini geografici accompagnato dalI'alta poesia di Frédérie Mistral, quarto premio Nobel per la Letteratura.
Mistral aveva spazzato via sei secoli di Storia: da quando, cioè, I'uso quotidiano della lingua provenzale era incominciato a decadere sotto il tallone di progressive proibizioni (come l'editto di Villers-Cotteret che impose il francese per gli atti amministrativi).
A questa rinascita culturale della sua terra il poeta dedicò tutta la vita, anima e corpo, tempo e denaro: una missione che si sarebbe chiamata Felibrismo, scuola letteraria da lui fondata per risvegliare l'anima popolare di Provenza
Nella lirica di Mistral la campagna provenzale acquistava quel po' di magico e quel po' di realistico che vantavano greci e latini dell'antichità Ogni stagione rinnovava la serie dei lavori campestri. L'aratura, la semina, la tosatura, la falciatura del fieno, la sbozzolatura, la mietitura, la battitura, la vendemmia, il raccolto delle olive dispiegano ai miei occhi gli atti maestosi della vita agreste, dura sempre, ma indipendente e calma". Del poeta, che si aggirava con un cappellaccio nero e un volto da moschettiere, restano poemi, un dizionario provenzale-francese, racconti, migliaia di lettere e un'affettuosa difesa di Daudet.
Infatti Alphonse Daudet, di Nîmes, si era inimicato i suoi conterranei con la pubblicazione del Tartarino di Tarascona. Il personaggio un poco fanfarone, che affascina i sempliciotti del paese con racconti esotici senza esser mai uscito dall'abitato, che progetta una caccia al leone in Africa ma è costretto all'inazione dal conflitto tra le sue due anime (prode come Don Chisciotte e, allo stesso tempo, pavido come Sancio Panza); questo eroe ridicolo ma innocente suscitò l'orgoglio locale. "Tarascona", intervenne Mistral, "vorrà per questo serbargli rancore? No. La leonessa non si adira né mai si adirerà col suo leoncino che per gioco le dà talvolta qualche graffiata".
Aveva ragione: dietro alle paradossali tartarinate c'era l'amore per la Provenza, sentimento che qualche anno prima avevano spinto Daudet a scrivere delle lettere da Parigi: le famose Lettere dal mio mulino, scritte non certo per essere spedite. Con questo brillante espediente letterario, infatti, Daudet voleva mostrare ai lettori parigini, tra nostalgia e affettuosa ironia, il fascino della vita provenzale. Uno dei suoi racconti drammatici, "L'Arlesiana", costituì il punto di partenza per il famoso melodramma di Bizet. Quarant'anni fa le Lettere dal mio mulino ebbero una versione cinematografica curata da Marcel Pagnol, nato ad Aubagne nel 1895, cresciuto a Marsiglia, laureatosi ad Aix-en-Provence, impegnatosi come supplente a Tarascona, che raggiunse però a Parigi la fama di drammaturgo, cineasta, perfino di inventore. La vita quotidiana in Provenza fatta di contadini e rigattieri, abiti di flanella ed erbe aromatiche, fucili da caccia e gastronomia , ebbe in lui un attento e fresco osservatore (come attestano i Souvenirs d'enfance e la cosiddetta Trilogia marsigliese).